Una Ecclesia tra la Commedia Divina e la Trasfigurazione
Pierfranco Bruni
Cosa hanno in comune Raffaello e Dante? Il legame con la Chiesa e soprattutto
con i Pontefici? Non solo. Si va sempre oltre. La ricerca della perfezione? O
forse della compiutezza? Ma il legame con i pontefici resta essenziale. Su
Dante, nei secoli successivi, si svilupperà una emblematica dialettica e
l’interprete maggiore sarà Benedetto XVI con le sue Lezioni. Per Raffaello
resta da sottolineare il suo legame con Leone X.
Dante e i Pontefici del Novecento.
Il 30 aprile del 1921 Benedetto XV dava alla
luce l’Enciclica “In praeclara summorum” dedicata completamente a
Dante nella quale si può leggere: “…riconoscere che ben poderoso slancio
d’ispirazione egli trasse dalla fede divina”. Dirà rivolgendosi ai giovani:
“E voi, cari ragazzi, che avete la gioia di dedicarvi, sotto la guida del
magistero della Chiesa, allo studio delle lettere e delle arti, continuate –
come già state facendo – ad amare e ad interessarvi di questo nobile poeta, che
Noi non esitiamo a chiamare il più eloquente panegirista e cantore dell’ideale
cristiano” (Papa Benedetto XV; In Praeclara
Summorum, 11) Successivamente fu Paolo VI a far riflettere in un’altra
Enciclica risalente al 7 dicembre del 1965 dal titolo “Altissimi cantus”.
Qui Paolo VI, in occasione dei 700 anni dalla nascita di Dante, ebbe a dire:
“Nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire, della fede cattolica”, sdoganando
completamente Dante dal suono di eresia.
Ma fu Joseph Ratzinger, prima di diventare Benedetto XVI, nella sua robusta e
importante “Introduzione al cristianesimo”, cristiana a sottolineare, con la
competenza specifica, a parlare di Dante dedicando addirittura un commento
forte di un passo della Commedia: “Dentro da sé del suo colore stesso,/ mi
parve pinta de la nostra effige,/ per che ’l mio viso in lei tutto era messo”
(Paradiso XXXIII, 130-132), con una sottolineatura di fondo: “Contemplando il
mistero di Dio, egli scorge con estatico rapimento la propria immagine, un
volto umano, al centro dell’abbagliante cerchio di fiamme formate da ‘l’Amor
che move il…”.
Ratzinger apre una vasta discussione proprio sul legame tra la Commedia (Divina)
e il cristianesimo. Sono delle Lezioni sulla simbologia cristiana svolte alla
Università di Tubinga risalenti al 1967 e pubblicato l’anno successivo.

Un passaggio, meramente irrilevante, lo farà anche papa Francesco, distante,
chiaramente, dalla sua cultura, nella sua “Lumen fidei” del 23
giugno del 2013, ma, nulla di nuovo, ne aveva parlato già,
abbondantemente, la filosofa Maria Zambrano.
Comunque i tempi di Bonifacio erano e sono distanti. Dante dal 1921 sino
al 1967 viene riletto nella sua visione sublimale e simbolica. Sarà,
comunque, proprio Ratzinger a delineare un passaggio fondamentale attraverso il
confronto tra i miti e la sacralità in Dante.
C’è molto di più per ritornare al legame tra cristianità, pontefici e Dante. La
Enciclica “Deus Caritas est” di Benedetto XVI nasce proprio da Dante. Scriverà:
“Ancora più sconvolgente di questa rivelazione di Dio come cerchio trinitario
di conoscenza e amore è la percezione di un volto umano – il volto di Gesù
Cristo – che a Dante appare nel cerchio centrale della Luce. Se da un lato
nella visione dantesca viene a galla il nesso tra fede e ragione, tra ricerca
dell’uomo e risposta di Dio, dall’altro emerge anche la radicale la novità di
un amore che ha spinto Dio ad assumere un volto umano”.
Ancora, dopo la beatificazione di Giovanni Paolo II, dirà:
“Nell’amore, l’uomo è ricreato. Incipit vita nova, diceva Dante, la vita della
nuova unità dei due in una carne. Il vero fascino della sessualità nasce dalla
grandezza di questo orizzonte che schiude: la bellezza integrale, l’universo
dell’altra persona e del noi che nasce nell’unione”. Giovanni Paolo II, nel suo
Discorso all’inaugurazione della Mostra “Dante in Vaticano”, citerà,
appunto Dante. Era il Giovedì, 30 maggio 1985. Ma Gio anni Paolo II era un poeta
e conosceva attentamente tutte le opere di Dante.
Nel 2006 Benedetto XVI, durante l’Angelus della Festa per l’Immacolata,
sottolineerà, chiedendosi perché Dio, tra le donne, sceglierà proprio Maria di
Nazaret, oltre alla preghiera di San Bernardo che si racchiude nell’ultimo
canto del Paradiso: “La risposta – dice il Pontefice – è nascosta nel mistero
insondabile della divina volontà. Tuttavia c’è una ragione che il Vangelo pone
in evidenza: la sua umiltà. Lo sottolinea bene Dante Alighieri nell’ultimo
Canto del Paradiso: Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, / umile ed alta più
che creatura, / termine fisso d’eterno consiglio”. Teologia e filosofia sono i
veri caposaldi della cristianità vera, che trova in Benedetto XVI il vero punto
di riferimento della metafisica dantestesca.
Il legame di Raffaello con i pontefici sarà di altra natura. Forse meno
metafisico e più teologicamente pragmatico. Nel Dante di Ratzinger, che si farà
chiamare, da papa, Benedetto XVI, l’iniziatore della rilettura cattolico –
metafisica, inizia con l’Enciclica di Benedetto XV, è la lettura teologica che
entra nei simboli e si apre alla filosofia.
In Raffaello l’impatto immediato è indirizzato alla ricerca della
bellezza, dall’estetica – etica alla armoniosa bellezza. Raffaello è nelle
lettere soprattutto a Leone X che si rappresentano le motivazioni artistiche e
meta – fisiche. Benedetto XVI resta, comunque, nella divinità della visione
dantesca, supremo. C’è anche da annotare che l’Anno della Fede del 2012,
Benedetto XVI volle dedicarlo a Dante nelle Fede Cristiana proponendo il XXIV
Canto del Paradiso.
Raffaello e Leone X.

Raffaello e le lettere. Il pensiero sulle culture e sui beni culturali. Nelle
lettere Raffaello partecipa uno spaccato della sua temperie e dei suoi rapporti
con parenti stretti e con Papa Leone X. Un inciso che traccia dettagli che
danno un senso alla sua formazione e segna la particolarità di un artista che
ha sempre saputo ascoltare con attenzione il suo tempo e le voci che quel tempo
ha espresso.
Tra le lettere che portano una testimonianza di valore ci sono quella a
Baldassarre Castiglione, le due allo zio Simone de Batista di Ciarla da Urbino
e in modo particolare al Papa Leone X.
Proprio in quest’ultima si sottolineano aspetti storici e culturali, come si
leggerà qui di seguito, che sono incastri nella sua vita di artista e nelle sue
meditazioni sul mondo greco – romano e della classicità. Roma e la sua identità
sono il perno di tutto il discorso. La Roma antica. La Roma della profonda latinità.
La Roma che vive di memoria e di identità.
Raffaello proprio in incipit scrive:
“Sono molti, Padre Santissimo, i quali misurando col loro picciolo
giudicio le cose grandissime che delli Romani circa l’arme, e della Città di
Roma circa al mirabile artificio, ai ricchi ornamenti e alla grandezza degli
edifici si scrivono, quelle più presto stimano favolose che vere”.
Si parla di Roma e della latinità ma soprattutto emerge una visione fortemente
teologica nella quale l’artista si trova a navigare a vele spiegate.
Si rivolge al Papa scrivendo:
“Non deve adunque, Padre Santissimo, essere tra gli ultimi pensieri di
Vostra Santità lo aver cura che quel poco che resta di questa antica madre
della gloria e della grandezza italiana, per testimonio del valore e della
virtù di quegli animi divini, che pur talor con la loro memoria eccitano alla
virtù gli spiriti che oggidì sono tra noi, non sia estirpato, e guasto dalli
maligni e ignoranti; che pur troppo si sono infin qui fatte ingiurie a quelle
anime che col loro sangue partoriscono tanta gloria al mondo. Ma più presto
cerchi Vostra Santità, lasciando vivo il paragone degli antichi, agguagliarli e
superarli, come ben fa con grandi edifici, col nutrire e favorire le virtuti,
risvegliare gl’ingegni, dar premio alle virtuose fatiche, spargendo il
santissimo seme della pace tra li principi cristiani”.
A questi principi Raffaello si è sempre affidato. Principi e valori che sono
stati al centro della sua contemplazione e condivisione spirituale. Appunto la
spiritualità.
Di spiritualità è ricco il cammino di Raffaello in modo particolare quando si
trova davanti allo specchio degli occhi e dello sguardo delle Madonne o dei
santi. Ovvero da un viaggio dantesco nella chiesa a un percorso di legami
tra Raffaello e il suo tempo cattolico.
Si pensi alla sua meditazione artistica sui lavori dedicati alla Ascensione o a
San Pietro o a San Paolo. La lettera è intrisa di importanti contaminazioni
religiose ed esistenziali oltre ad essere uno scavo autobiografico. Si parla di
arte. Si lascia suggerire e studia intorno alle chiose che il Papa esprime.
In chiusura della lettera, molto accurata e affettuosa, Raffaello afferma:
“…Se poi nel rimanente io averò tanta ventura quanta mi viene in
ubbidire e servire a Vostra Santità, primo e supremo Principe in terra della
cristianità, siccome potrò dire d’esser fortunatissimo fra tutti li suoi più
devoti servitori, così anderò predicando di riconoscere l’occasione di essa mia
avventura dalla santa mano di Vostra Beatitudine, alla quale bacio
umilissimamente li santissimi piedi”.
Un significativo intreccio nella dimensione cosmica e metafisica. Una
universalità che è recita di una profonda spiritualità.
Nella lettera c’è il recupero di una tradizione che pone al centro le vestigia
della latinità. Una tradizione che si fa memoria e solca l’identità di una
civiltà proprio in un secolo che guarda al futuro. Il Rinascimento per
Raffaello è una profezia che non perde mai la sua identità. Ciò si definisce
proprio attraverso i modelli artistici.
La lettera risale al 1519. Scritta da Raffaello e Castiglione in collaborazione
con Angelo Colucci. Leone X resta il centro per una discussione nella quale la
memoria e l’identità sono i pilastri per comprendere l’epoca nuova, ovvero il
Rinascimento. Un Rinascimento che è rinascita.
Oltre i Papi.
Dante e Raffaello, pur essendo due epoche, rappresentano anche due rivoluzioni:
poetica e linguistica l’uno e artistico l’altro. Ma in entrambi è la ricerca
della bellezza nel volto degli occhi delle donne che resta ad incrociare
modelli di vita e di cultura.
La Beatrice di Dante potrebbe trovarsi nella Fornarina di Raffaello? Una
domanda che credo vada presa in forte considerazione. Un viaggio nella storia
della poetica e dei volti, un viaggio nella vita degli uomini artisti
complessivamente diversi. È su questo tema che si sviluppa il lavoro su Dante
in Raffaello e l’avventura tra Pontefici.